L'alba di un tramonto
Giorno. Notte. Quando si è insonni, che senso ha?
Barricato in una cantina senza finestre illuminata unicamente da una fredda luce artificiale, quel che accade fuori, nel mondo reale, sembra essere una vecchia fotografia sbiadita abbandonata in strada per sbaglio.
Sei da solo, rifugiato in un posto in cui sai che nessuno ti troverà. Per ora. Nessuno può predire con certezza il tuo futuro, o quanto esso possa esser breve o lungo.
Il pavimento è maculato dall’ombra di scaffali, pacchi colmi di addobbi natalizi messi da parte, diserbante per il giardino e lattine di olio motore che i tuoi usano per manutenere gli attrezzi meccanici per la cura del prato.
Nonostante siano ben chiuse, confezioni di vernice color salmone emanano un odore acre e pungente di petrolio, che si mischia all’odore di muffa della cantina in cui ti trovi.
Polvere. Polvere ovunque. Sembra che dio si sia dimenticato di questo posto.
Questo è il posto in cui le cose vengono messe da parte.
Èd è per questo che ti senti a tuo agio qui. Un posto dimenticato da tutti, raramente in uso.
Un posto che non ti serve esplorare. Un posto che dà risposte alle tue domande.
Tagliaerba? Eccolo.
Sementi? Secondo scaffale a sinistra.
Sulla destra, pacchi ereditati dal trasloco e mai riaperti.
E la scatola dei vecchi ricordi. Quella chissà dov’è finita. Era qui però dopo il trasloco.
Una pistola. Quella, è nella stanza accanto, nella cassaforte insieme agli oggetti preziosi, lontano da sguardi indiscreti, e lontano da mani che non devono poter esaminare.
Ti dirigi nel locale vicino: il pensiero è per te come un chiodo che non è in grado di resistere alla fatale attrazione di una calamita.
Apri la cassaforte e lei è lì, nera, tagliente, già carica. Ti dà un senso di serenità.
Mancanza di emozioni. Mancanza di sofferenza.
Dolore. Dubbi. Disagio. Fanno parte di attimi che in questo momento non sembrano più appartenerti.
Tutto d’un tratto, il silenzio. Un silenzio interrotto unicamente dall’acufene, un fischio alle orecchie che senti costantemente. Non ti ha mai lasciato da quando avevi 15 anni.
Ma questo è un silenzio diverso. Più pacato. Più distaccato. Dà quasi un senso di appagamento.
Immerso nella quiete più totale, un freddo ti smuove la mano destra. Senti lo stridio della pelle che scivola sul metallo.
Solo ora ti rendi conto di averla in mano, e come con un gesto compiuto da un robot senza alcun’anima o paura, la poggi sulla tempia destra.
Nel momento in cui il cervello si spegne non si provano emozioni.
Nulla è più brutto, nulla è più bello. Il senso di queste informazioni si dissipa.
Quel che più si distingue dalle altre sensazioni quando si giunge all’idea che tutto sta per terminare, è il tempo. Si dilata, perde significato.
Senso di eternità.
Senso di essere un tutt’uno con un’entità più grande di noi: l’Universo.
È simile a quel che vede uno spettatore esterno osservando un oggetto cadere in un buco nero.
Vede l’oggetto fermo, che non invecchia più. Immobile, intoccabile, lontano, eterno. Non lo vedrà mai raggiungere la singolarità del buco nero.
Termina il concetto di spazio/tempo, inizia l’esistenza eterna.
Ovviamente, dal punto di vista dell’oggetto, questi si schianta nel buco nero in pochi istanti, e prima che questo accada viene fatto a pezzi dalle forze di marea. È per questo che si chiama relatività.
Lo stesso è quel accade quando un cervello si spegne, ma invertendo i punti di vista.
Tutto sbiadisce e sei in armonia con il mondo.
Poi l’assenza dell’essere.
Parte seconda
Sei nella tua stanza, parlando a telefono.
Come tuo solito, non riesci a parlare stando fermo, quindi inizi a camminare su e giù per la stanza.
È qui che tutto ha inizio. Improvvisamente, cadi all’indietro, senza sapere come o perchè, e ti ritrovi sdraiato a terra.
Un leggero ghigno sventola sul tuo volto. Sei sempre stato in grado di cadere in modo da non farti male, e questa volta non hai fatto eccezione, finendo a terra senza urtare la scrivania o la cassettiera che ti sono entrambe troppo vicine.
Nei giorni successivi, ti accorgi di avere difficoltà ad articolare il piede sinistro, non riesci a contrarlo completamente.
Quando cominci ad avere anche strani pensieri, decidi che quel che è più opportuno da fare è una risonanza magnetica al cervello.
Giusto per esser certi che tutto sia a posto.
Prenoti la visita da un neurologo per fartela prescrivere. Cinque giorni ed i dubbi saranno sciolti.
Sai, giusto per esser certi che tutto sia a posto.
Tempo tre giorni e, mentre dormi, ti chiedi cosa sia quest’oggetto che ti infastidisce e che occupa spazio accanto al tuo corpo. “Chi è che dorme con me? Credevo di esser da solo!”
Controlli quindi con la mano destra ed esclami un po’ meravigliato: “È il mio braccio!?”.
Il tuo braccio. Non è mai stato così tanto tuo ed allo stesso tempo di qualcun altro. Alieno. Esterno. Lontano.
Continui a percepire ogni contatto che l’arto possa subire: il tatto è presente, ma non ti rendi conto se sia tu a toccarlo, o magari qualcun altro.
Ti viene in mente il corpo calloso, quella fettuccia di fibre nervose che collega i due emisferi. Sei sicuro di averne sentito parlare in una puntata di Dr. House in cui ad un paziente veniva rimosso uno dei due emisferi perchè malato. Sì. È proprio allora che ti documentasti sul corpo calloso, quello che fa comunicare la parte destra con quella sinistra del cervello. E ricordi delle tue ricerche sulla mano aliena.
Decidi che è giunto il momento di preoccuparsi, e che quella risonanza non può più aspettare.
Ti organizzi per andare in ospedale. Quanto tempo ci vorrà mai per fare una risonanza?
Al pronto soccorso esponi i tuoi sintomi, e sebbene lo faccia sorridendo per la loro stranezza, noti che la dottoressa che sta scrivendo l’anamnesi si fa tutto d’un tratto seria.
Non dai peso alla cosa: sarà impegnata in sue faccende, o magari si sarà lasciata col ragazzo.
Decidono di trattenerti per qualche controllo in più.
Parte terza
Un mese dopo.
Ormai a casa dopo il secondo ricovero, ti rendi conto che la tua vita non sarà più la stessa.
In questo tempo hai sviluppato una eccessiva sensibilità al tatto.
Una carezza ha la stessa dolcezza di un fendente sferzato dal tuo peggior nemico.
Fendenti carezze che la tua ragazza ama infliggerti di tanto in tanto.
E farle notare che le sue carezze ti fanno sobbalzare dal letto e che provocano un fastidioso senso di dolore non sembra sia servito a molto, se non ad avere le sue scuse, insieme ad un lamentarsi dicendo “e mamma mia! ma com’è possibile, ho fatto piano!”.
E continua a tirarti feroci carezze quando meno te lo aspetti.
Mentre sei intento a pensare ad altro.
Mentre cerchi di trovare pace dal folle prurito che divora ogni centimetro della tua pelle.
Mentre dormi.
Vita. Cos’è esattamente la vita?
Come si può definire vita quella che prova una persona che non percepisce più gioia?
O voglia di realizzare qualcosa.
O che non senta il bisogno di condividere le proprie esperienze con qualcuno. Chiunque andrebbe bene. Peccato non ti interessi.
Questa non è vita.
Sì, stai riprendendo pian piano a camminare, ma ancora non sai esattamente cos’è che hai.
Nè lo sanno i medici che ti hanno proposto di fare una terapia che è la più efficace per la sclerosi multipla.
Ma quel che sai è che tu non hai la sclerosi multipla.
- È sicuro e non ha effetti collaterali, si chiama natalizumab. Dobbiamo solo tenere sotto controllo questo virus chiamato “virus JC”, che si approfitta del fatto che il cervello non sia protetto e, raramente, lo attacca.
- Quanto raramente?
- Ma non preoccuparti, è una cosa rara, siamo intorno ad una persona su mille per i primi due anni!
- Per quanti anni devo seguire questa terapia?
- Beh, ma se funziona, perchè dovresti volerla interrompere?
È questo l’istante in cui hai capito che i medici, in realtà, non ti stanno dicendo esattamente tutta la verità.
Ma la terapia a base di antidepressivi che ti è stata data all’atto della dimissione non ti consente di aggiungere altro.
Ti senti intorpidito. Stonato.
È come se stessi vivendo nella copia, della copia, di un atto teatrale basato su di un racconto orale, chiamato “La tua vita, atto secondo”.
E questa vita non è la tua. Non più, almeno. La tua vita era diversa, fatta di gioia, delusioni, ansie e soddisfazioni. Questa invece cos’ha?
Intorpidimento. Mancanza di sensazioni.
Anzi, commiseri la persona che sta vivendo questa vita. Provi pietà per lei.
Riflettendo poi, ti rendi conto che forse sei tu quella persona.
Solo per parlare ipoteticamente, beh sì, potresti esser tu. Ipoteticamente, ma tanto non è così.
Non ti senti essere il padrone di questa vita. È più come vedere un film malinconico in un momento di depressione, piuttosto che la realtà. Non può esser vera!
Chiedi quindi al medico che ti sta seguendo:
- Ma se non è chiaro di cosa si tratti e invece di essere una malattia come la sclerosi multipla ma che non è sclerosi multipla… se fosse un qualcosa di infettivo come un batterio, un virus… o se è un tumore? Evitando che il sistema immunitario vada lì e lo attacchi, non potremmo peggiorare la situazione? Il radiologo ha detto che potrebbe essere una qualunque di queste cose!
- Ma no! Io sono piuttosto fiducioso che si tratti di una forma un po’ aggressiva di sclerosi multipla, ma benigna.
Benigno. Come può essere benigno qualcosa che ti attacca il cervello, causando lesioni da oltre 5cm?
Sono più grandi di una pallina da ping pong. E ce ne sono parecchie. E continuano ad uscirne di nuove ad ogni risonanza. E di risonanze ne hai fatte parecchie.
Ma non devi preoccuparti. Tanto è benigno.
Te lo suggeriscono anche gli psicofarmaci. Calma e tranquillità. 1, 2, 3, 4…
Ma come può qualcosa che è appena stato definito “aggressivo” esser benigno? Non può. Ma la strategia per addolcire le pillole è esattamente questa.
Parte quarta
Nove mesi dopo.
Se da un lato sei migliorato e la terapia sta funzionando molto bene, emotivamente sei spento.
Intellettualmente, sei peggio. Senti la tua intelligenza calata, dimentichi le cose costantemente. Sei annebbiato mentalmente.
“Apatia, portami via!” è diventato il tuo motto.
Ti senti come un messaggio inviato ad un numero inesistente.
Come una locomotiva senza vagoni.
Come un ingegnere nucleare su di un’isola deserta.
Inutile.
Inutile sei tu.
Inutile è la vita che stai vivendo.
Inutili sono le terapie che stai seguendo.
Inutile è tutto quel che ti accade.
Inutili sono le tue amicizie, ed inutile è qualunque ricerca tu possa fare.
Ti senti come se il mondo ti avesse messo da parte.
E ti trovi in un mondo in cui, chi più chi meno, tutti ricoprono un ruolo per la società. Certo, eccetto te.
Decidi di scendere dal tuo piano, e di andare in un luogo sicuro.
Un luogo riservato.
Un luogo in cui esista solo tu, insieme ai tuoi pensieri, che mai ti lasciano. Anche con la mente annebbiata. Anche se lenti, i tuoi pensieri sono sempre lì.
Un luogo dimenticato.
Ti dirigi verso la cantina.
Parte quinta
Silenzio.
Il silenzio ovatta e pone te e tutto quel che ti è intorno in una strana foschia. Tutto è appannato.
Distacco.
Distacco dalle persone.
Distacco dal mondo.
Distacco da te.
Spettatore del mondo.
Spettatore delle reazioni chimiche al tuo interno.
Spettatore della tua vita.
È ora che ti rendi conto che, in fin dei conti, le sensazioni che provano gli umani, in realtà non esistono.
Bello, brutto.
Piacere, dolore.
Gioia, tristezza.
Non si tratta altro che di impulsi elettrici inviati da sinapsi ad altri loro simili.
Nulla che ti riguardi davvero, comunque. Nulla di reale.
Loro sono lì a divertirsi tra loro nel tuo cervello ed a scambiarsi messaggi neurochimici che tu chiami pensieri. Ed il risultato di tanta gioia e tanti sforzi è l’apatia.
Alla fine, è semplicemente una differenza di potenziale che rende le tue sensazioni vere.
Tu non provi.
Non percepisci.
Non avverti.
È esattamente quello a cui aspirano tanti culti orientali. Distacco dal mondo e da tutte le sensazioni umane. Sei arrivato al Nirvana.
Il cervello, scollegandosi da tutte le sensazioni, si chiude in sè stesso.
È come la porta pressurizzata di un caveau in cui si compiono esperimenti su gas pericolosi.
C’è il dentro e c’è il fuori.
Tu sei dentro.
Emozioni, percezioni, amore, voglia di vivere, son rimaste fuori.
Esisti tu.
Esiste il mondo.
E non vi parlate. Non comunicate.
Tu non provi a comunicare con il mondo, e il mondo non è in grado di contattare te, bloccato da una muraglia incolore fatta di errate differenze di potenziale. Pezzi di cervello spenti da psicofarmaci.
Ti senti tirato fuori. Dalla vita. Dall’Universo. Da te.
Sollievo interiore.
Hai vinto.
Benvenuto nel Nirvana, lo stato più alto del buddhismo. L’estinzione del desiderio.
C’è pace qui, molta più pace di quel che ti aspetteresti.
Così tanta pace che l’unica sensazione che provi è la non esistenza del mondo. O della vita. O di te.
Tutto d’un tratto senti il suono del respiro.
Un respiro che porta la tua mente alle onde che s’infrangono su delle rocce, bianche come neve fresca.
Questo è tutto quel che provi in questo momento.
Sassolini neri di ossidiana che, spinti dalla forza delle onde, si rotolano l’uno sull’altro, consumandosi, smussandosi e diventando più tondi ogni giorno che passa.
Il rumore di una schiuma, morbida come panni di soffice seta bianca.
Sole. Un sole tiepido, che non scotta. È come il lieve calore di un sole al tramonto. Un leggero tepore sulla pelle.
Il tepore umano che da tempo non provavi.
Un tepore umano che non esiste.
una molla si comprime
uno scatto improvviso
rumore di gas in espansione
Epilogo
Una luce rosastra.
Un cuore che non sembra fermarsi più. Ricorda il suono di vecchie locomotive a vapore, inserite dritte nel cuscino. O nella testa.
Per quel che ne sappia, qualundue delle due possa essere, non cambierebbe le cose.
Tepore. Tepore di un sole tiepido, che non scotta. È come il lieve calore di un sole al tramonto. Un leggero tepore sulla pelle.
Il tepore umano che da tempo non provavo.
Una leggera brezza mi smuove un ciuffo di capelli castano chiaro sul viso.
Un viso dolce, stranamente non molto segnato dall’età o dal passato.
Una pelle liscia, morbida, chiara.
Occhioni sorridenti e curiosi.
Lenzuola ovunque, ed un odore che non avevo mai sentito, mi invitano ad aprire gli occhi.
La luce, rosastra per le palpebre chiuse, svanisce e si tinge di un timido arancio.
È la luce dell’alba di un sole pallido, ma deciso ad affrontare le tenebre.
Un senso di quiete mi pervade quando mi sento toccare il sedere.
L’odore che percepivo è il profumo di chi mi è accanto.
- Lo sai che hai un bel culetto?
Jack.
È il primo ad avermi fatto notare che il mio taglio degli occhi potesse interessare qualcuno.
Ed è lui che ama dirmi di avere un bel culetto. O almeno è tra i pochi che me lo dicono in faccia.
- Ria, lo sai che sto bene qui con te, ora?
Arrorrisco, ed inconsciamente assumo un’espressione felice nel mio sguardo; un’espressione subito notata da Jack che comincia ad accarezzarmi la guancia. I complimenti mi fanno strano, non ci sono ancora del tutto abituata.
- Anche io sto bene qui con te… ma, per curiosità, hai armi in casa?”
- No… perchè?
- Jack, perdonami se sono così diretta, ma hai mai avuto pensieri… estremi?
- Sì, li ho avuti.
- E cos’è successo poi?
alcuni usano la morte per scappare
il suicidio non ha coraggio
vivere richiede temperamento
Jack quando è in difficoltà, ama parlare per enigmi. O per haiku, come in questo caso.
- È per questo che hai deciso di prendere in mano la situazione? Per sentirti temprato?
- No. L’ho fatto per istinto di sopravvivenza. Al nostro interno, ognuno di noi, quel che cerca è la felicità. E per esser felici occorre vivere. Nel mio caso, per vivere dovevo temprare il mio carattere e modificare le mie abitudini e terapie, puntando a raggiungere la felicità.
- E ti senti felice?
- Credo di non essermi mai sentito più felice di adesso! Il semplice stare qui con te, carezzarti la guancia, lasciarmi sedurre dai tuoi occhi, sentire sulle mie mani il calore della tua pelle e vederti sorridere mi fa star bene! Mi chiedi se mi sento felice. Io era una vita che cercavo una persona come te, ed averla trovata, oggi, riempie ogni mia cellula di voglia di vivere. Non chiedermi se sono felice. Chiedimi di dirti cos’è quel che provo. Questa è una domanda! Ed è una domanda alla quale non so risponderti. Non è solo felicità. Non è amore, non conoscendoti ancora bene come vorrei. Non è affetto, perchè va oltre ogni sensazione che abbia provato finora.
Dolcemente, poggio le mie dita sulla sua bocca, interrompendolo.
Ho paura di sentirmi catapultata in qualcosa che sia più grande di quel che immaginassi, e non vorrei perdere le sensazioni che sto provando qui, ora.
I suoi occhi si chiudono e si distendono. Sento le sue labbra baciarmi le dita.
Quindi poggia le sue dita sul mio labbro, cercando di interrompere i miei pensieri così come io ho fatto con le sue parole. Chiudo gli occhi.
Sento qualcosa di morbido, togliere le mie dita dalla sua bocca. Poi, la morbidezza di batuffoli d’ovatta abbraccia il mio sorriso. È un suo bacio.
Quando si allontana, apro gli occhi che ormai hanno iniziato a bagnarsi, e vengo cinta da un suo abbraccio.
scroscio d’acqua cristallina sui miei occhi
serenità nel mio cuore
lenzuola come docili nuvole tutto intorno